Scienza della sostenibilità: è solo l’alba
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Varazze, 19.11.2009.
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Scienza della sostenibilità:
è solo l’alba
Di Alessandro Farulli, pubblicato su “Greenreport” del 18.11.2009.
Idee troppo piccole per dominare tutto? Lo sostiene Edmondo Berselli in un articolo apparso oggi su Repubblica che prende spunto dall’allarme lanciato dall’Economist circa il rischio ‘estinzione’ dell’intellettuale universale.
Berselli sostiene che «esaurite le famose ‘ideologie’, e perdute anche le radici socialdemocratiche che avevano costituito l’alternativa più efficace al socialismo reale, gli ultimi trent’anni sono stati il campo di tuttologi e tuttologie apparentemente irresistibili, eppure alla fine fallimentari». E conclude affermando: «Oggi, occorrerebbero sintesi impressionanti; mentre c’è la sensazione che le idee siano troppo piccole e parziali per investire e controllare il tutto che ci domina». Una constatazione banale e deludente, dal nostro punto di vista, perché non considera affatto “l’idea” che invece, pur a fatica, sta emergendo nel mondo: la scienza della sostenibilità.
La “Scienza della sostenibilità” non è una «scienza costituita e fondata con i suoi chiari confini disciplinari, piuttosto rappresenta la convergenza di progressi transdisciplinari, una scienza difficile e intrigante, una scienza nutrita dalle straordinarie novità concettuali e operative di discipline diverse (dalla fisica all’ecologia, dall’economia alla sociologia, dall’antropologia alla politica) e di molte discipline innovative e recenti (come l’economia ecologica, la biologia della conservazione, l’ecologia del paesaggio, l’ecologia del ripristino, eccetera), che cerca di tracciare ‘mappe’ utili e praticabili per far sì che le nostre società possano vivere in armonia con i sistemi naturali». Una scienza che «si avvale della continua analisi integrata dei sistemi naturali e sociali, dello stretto legame che esiste tra natura ed essere umano, del tenere sempre in conto l’intima relazione esistente tra evoluzione naturale ed evoluzione culturale». Lo afferma Gianfranco Bologna nel suo “Manuale della sostenibilità”, parole che rilette a pochi giorni da Copenhagen – dunque nel pieno delle discussioni sul clima e l’economia globale – e alla luce del vertice della Fao, appaiono come l’unica risposta possibile, in termini di analisi e di approccio, agli enormi problemi sul campo: crisi economia, crisi ecologica, crisi sociale, ridistribuzione della ricchezza. Idea quindi, piuttosto grande ci pare, se non per dominare tutto almeno per cercare di governarlo.
Idea per praticare la quale servono proprio i tuttologi (nel senso buono del termine, cioé che deve avere connessione però non può prescindere dalla cognizione) ) ovvero quelle persone dotate di una cultura e di una preparazione che consente loro di ‘accendere’ i link tra le varie discipline per un approccio olistico ancora necessario. Perché se è vero che è stato il totem degli anni Ottanta, la complessità come approccio è stata assai strombazzata ma assai poco praticata. Le specializzazioni e le iperspecializzazioni, quindi, non sono in contrasto con la ‘sostenibilità’ se queste arrivano dopo una crescita culturale dell’individuo. Individuo che appunto più che eccellere in qualsiasi campo, è in grado di analizzare i contesti e poi approfondire. Lo studioso non è cestinabile perché con google si colmano tutte le lacune, lo strumento è funzionale più a lui che a chi demanda al motore di ricerca di lavorare e archiviare le nozioni al posto suo.
Per capire l’importanza dei ‘tuttologi’, che una volta si chiamavano semplicemente intellettuali, basta leggersi quanto sostiene l’ottantottenne (88) Edgar Morin sulle opportunità della Rete (Corriere della Sera pag.41). Un tema sul quale, dalla proposta di Rupert Murdoch di mettere a pagamento le notizie sul web in poi, si sono scritte paginate e paginate senza arrivare a niente (lo stesso Murdoch non è più tanto convinto), mentre nessuno aveva avuto la sua lucidità nello spiegare che «La rete può aiutare la pace e la libertà, ma anche il contrario. Nella rete c’è un contrasto tra due tipi di etica: un’etica della libertà che lascia spazio a tutte le opinioni, anche a quelle che le vanno contro, e un’etica della comprensione umana, legata alla natura universale di Internet, che supera la semplice comunicazione. La comunicazione trasmette solo informazioni, che vanno organizzate e contestualizzate per arrivare alla conoscenza. Il passo successivo è la comprensione umana, ma ci vuole un minimo di empatia o di simpatia tra due persone». Non solo: «La Rete permette di avere poesia, musica e testi in modo gratuito. Certo, in molti pensano non sia applicabile ai diritti d’autore, ma non credo sia giusto: se scarico le canzoni di un artista, lui continua comunque a fare concerti. Nel mio caso, so che in molti Paesi lontani i miei testi sono disponibili in Internet e per me è un bene, perché mi conoscono e sono utile per le persone. Con la Rete la cultura ha la possibilità di diventare un bene comune». Con la Rete, aggiungiamo noi, si possono incrociare tante informazioni come mai si è potuto nella storia dell’umanità, ma bisogna saperlo fare, bisogna saper usare lo strumento e non esserne vittime, bisogna saper confrontarsi con la complessità, bisogna saper distinguer le grandi idee(altrui) da quelle piccole (personali).
Fonte: Greenreport
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