Le ragazze di Varazze – di Tiziano Franzi

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Varazze, 1.07.2023.                                 Home page

LE RAGAZZE DI VARAZZE

Riscoprire il nostro passato – di Tiziano Franzi

Il poeta e scrittore Giovanni Corvetto, dopo un suo soggiorno estivo a Varazze, scrive così a “La Stampa” nell’agosto 1931:

«Le ragazze di Varazze
Vanno pazze per il mar…»

Così Ernesto Regazzoni (*1) aveva cominciato una di quelle sue “filastrocche“- come le chiamava lui – che fecero il giro degli ambienti intellettuali torinesi tra il 1910 e il 1914.

Con questi due versi per guida son venuto sin qui, in questo lembo di paradiso marittimo, ove il respiro del mare si confonde con quello della pineta in una sola olezzante sinfonia di profumi, ma di ragazze varazzine – parlo della spiaggia – non ne ho trovato nessuna: ho trovato invece tante milanesi. Perché, come Alassio è la riviera di Torino, Varazze è la riviera di Milano. Nessuna rivalità e tutti contenti. Gli uni di qua e gli altri di là di Savona, ovverosia ciascuno per sé e la Liguria per tutti.

Ragazze milanesi dunque, e tutte inguainate in certi pigiami a pantaloni da far invidia alla rassegna di pigiami parigini svoltasi a Juan-les-pins qualche settimana fa; ciò non tanto, forse, per l’aerea trasparenza e la quasi impalpabile leggerezza del contenente quanto per l’opacità vellutata e la squisita morbidezza del contenuto. Di pigiama è vero che hanno soltanto il nome: c’è un paio di bretelle elastiche e un paio di calzoncini color pelle, cosicché quando credi di aver capito dove finisce il calzoncino e comincia la pelle, ti accorgi che questa era già cominciata da un pezzo…

Ma, ad ogni modo, le bagnanti di Varazze sgambettano con la maggior monelleria possibile. Sgambettano e ondeggiano (tutto ondeggia a contatto dell’onda, come le vele dei pescatori, come le mantelle delle signore anziane, come i buoni propositi di certi mariti in vacanza, come i prezzi di certe pensioni) sull’oro della sabbia sottile, tesa, come un arco di fulvo metallo, a oriente di Savona, tra la punta dell’Aspera e la punta della Mola.

Così, in un pomeriggio luminoso ed azzurro, al cospetto del mare appena mosso e lievemente spettinato dalla carezza del vento, mi è apparsa la spiaggia di Varazze, soffice e bionda innanzi alla distesa degli stabilimenti, che si alternano a levante e a ponente della foce del Teiro, e sulla spiaggia lo spettacolo gaio e disordinato della folla assetata di mare, aggirantesi con vivacità milanese, tra ombrelloni e ombrellini, tavoli e tavolini per merende sommarie, fra strilli di bimbi e richiami di mamme, e grida di venditori ambulanti, e voci più lontane di rematori in barca, e ansar rombante e trepido di motoscafi.

Folla pittoresca e gioconda che si offre allo sguardo in una deliziosa policromia di tinte, in un tumulto confuso e abbacinante di sete ricamate e di epidermidi senza ricami, a cui si aggiunge l’anarchia caotica dei costumi maschili in una mescolanza di abbigliamenti di tutti i tipi e di tutte le razze, tale da dare all’insieme del quadro quell’accesa coloritura e quell’aria di bazar all’aperto, che hanno in Oriente le riviere delle città di porto. Tale è la caratteristica di questa cittadina ligure, che a differenza di altre stazioni balneari – Savona esclusa – della Riviera di Ponente, vive a tergo della spiaggia, da cui la divide la via Aurelia, una sua vita movimentata ed energica, tra le seduzioni di un clima incantevole, ma appartata quasi dall’atmosfera scintillante e grandiosa, in cui i bagnanti respirano, nel volgere precipitoso della stagione, la fuggevole ebrezza del loro riposo.
Ho detto prima di non aver trovato alla spiaggia le ragazze di Varazze; le ho trovate invece in città, col cappellino e la borsetta, o senza cappellino e col canestro al braccio, trotterellare verso il loro lavoro (c’è qui un grosso cotonificio ed altre industrie) come se l’avventura, a pochi passi, gli inviti della “season” e la spensierata e sfaccendata esistenza del mondo elegante non avessero presa sui loro giovani cuori.
E ne danno prova, verso gli ospiti – come tutta la popolazione indigena del resto – di schietta cortesia e di educata premura: la sera dopo la cena consumata nelle loro chiare casette dai balconi fioriti, ove entra a larghe ondate, il profumo acuto e un po’ selvaggio delle notti liguri, vanno ad assistere senza invidia all’ingresso delle coppie sfolgoranti nei dancing di lusso sulle terrazze dei grandi hotels. E dopo, al braccio del fidanzato, che è sempre un probo lavoratore o un bravo marinaio, passeggiano lentamente sotto la luna, lungo la strada asfaltatala che conduce verso Cogoleto, alle pinete balsamiche del Piano d’Invrea. I bagnanti non badano che alla spiaggia – mi diceva il cav. Camera, benemerito funzionario di questo municipio, che con l’avv. Costa è stato il mio cicerone – ma se si guardassero intorno, s’accorgerebbero che Varazze è un breve angolo di mondo, dove la natura ha voluto concentrare tutti i suoi incanti.

Il Piano d’Invrea è uno di questi: è un paesaggio di sogno, alto sul mare, al quale porge, in un digradare di boscaglie in declivio, i ciuffi capricciosi e scompigliati dei suoi pini, e dove – dice una leggenda – ogni ora che passa è un anno di salute che s’acquista, tanto è salubre quell’aria ricca degli aromi della pineta e della salsedine marina. Eppure ben pochi foresti vengono quassù, commentano i miei informatori che mi hanno accompagnato. E davvero il panorama di Varazze, questa bizzarra città di purissimo stile ligure, mediterraneo, italiano, dall’architettura leggiadra e audace, attraverso la quale si possono leggere le pagine antiche e recenti della sua storia gloriosa, è uno dei più belli della riviera.

Varazze, che all’epoca romana fu già centro illustre per i suoi cantieri navali, tanto da essere segnata nell’orbis pictus, sotto il portico d’Agrippa in Roma, col nome di Navalia, e che contribuì con le sue flotte alla potenza della Repubblica di Genova, Varazze popolata oggi, nel capoluogo e nei sobborghi, da dodicimila abitanti attivi nei mercati, nell’agricoltura, nella pesca e nella industria del forestiero, procura ancor oggi di abbellirsi e di migliorarsi – sotto la guida del commissario al comune gr. uff. Dezza – per sé e per gli altri.
Oggi essa conta tre ampi giardini a mare, due dei quali sono sorti sotto gli auspici della precedente amministrazione Laiolo e di quella attuale, e sia conducendo a termine, a ritmo accelerato, l’arginatura del torrente Teiro, opera veramente utile e degna. Alla sontuosità degli alberghi sulla spiaggia, si accoppiano così le bellezze interne della città.

Ma vi è fra tante bellezze un neo: la minuscola stazioncina, una casetta da bambola, che al cospetto degli edifici circostanti pare un ninnolo, un giocattolo, un rifugio per treni lillipuziani. Graziosa, ma troppo piccola. D’estate, quando vi è folla all’arrivo o alla partenza dei convogli, essa scompare quasi tra due fiumane di viaggiatori. Di essa un bello spirito ha detto: Non dovrebbe essere permesso lasciar sorgere accanto a una stazione così piccola, un paese così grande! Ma, del resto, gran parte dei villeggianti di Varazze arriva qui da Milano in automobile. Che volete, una volta per venire a Varazze bastavano un costumino di cotone e un cappello bianco; ora, oltre al costume di cotone, ci vuole il pigiama di seta, e oltre al cappello ci vogliono….otto cilindri.” (*2)

Tiziano Franzi

_________________

(*1) – Ernesto Regazzoni: poeta, traduttore e giornalista italiano (1870 –1920)
(*2) – Corvetto G., Bazaar all’aperto, La Stampa, 15 agosto 1931

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Questo articolo è stato pubblicato il 01 Lug 2023 alle 19:58 ed è archiviato nelle categorie - Riscoprire il nostro passato, NEWS DA VARAZZE. Puoi seguire i commenti a questo articolo tramite il feed RSS 2.0. Puoi andare in fondo e lasciare un commento. Attualmente il pinging non è permesso.

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